MEMORIE DEL SOTTOSUOLO
Black Hole / Nonmuseo, Varese
maggio 2022 – aprile 2023
Ma alla fine cos’è la modernità? E dove sarebbe iniziata? E quando? E dov’è finita?
E cos’è il progresso? L’abbiamo incontrato, superato e ce lo siamo lasciato alle spalle?
Una serie infinita di costruzioni, di macchine, di tecnica che avrebbe dovuto rendere più facile la vita umana e più felice la condizione sulla terra? E la terra? Con tutto ciò che contiene sopra e sotto? Cosa dovremmo farne ancora? E poi?
E poi ti trovi corpo estraneo al di sotto dell’ultimo livello della Azovstal e pensi che forse sia meglio rimanere lì. Cercare di ricreare un mondo separato, con quello che riesci a trovare, con quello che ti inventi, con tutto ciò che là sotto riesce a sopravvivere. Con coloro che hanno scelto di rimanere. Ogni tanto una incursione nel fuori per recuperare ciò che manca o potrebbe servire. E poi tornare sotto. Non sarebbe facile. Ma almeno non sei lì fuori. Nel delirio della guerra e dello spettacolo. Dello spettacolo della guerra. Già. Nel bunker dell’underground. Ancora.
Potrebbe crescere qualcosa qui sotto? Oppure sarebbe un altro fallimento? Di cosa ci sarebbe bisogno ancora? Potrebbe funzionare in autonomia o avrebbe bisogno di un po’ di cura? E i risultati sarebbero conformi alle aspettative? Troveremmo ciò che cercavamo? (Joykix Hydra Mentale)
Per The Black Hole, spazio espositivo sperimentale del Liceo (la buca d’ispezione dell’ex officina), Joykix, presenta Memorie del sottosuolo, un lavoro composto da elementi eterogenei che entrano in contatto e dialogo, ritmando attraverso la dialettica di una struttura architettonica natura e artificio, e così le dinamiche della vita contemporanea, metaforizzata dalla crescita e cura di un microcosmo naturale custodito, privato e aperto allo stesso tempo. L’opera è quasi un’incubatrice, una macchina non-celibe, mediatrice di possibilità, post-ecologica e profondamente poetica. Una grande scultura-struttura sotterranea che si muove idealmente in dialettica opposta alla macchina celibe di memoria duchampiana, caratterizzata dalla proiezione in sé, del movimento fine a se stesso. Si rammenta inoltre come referente linguistico all’interno del sistema dell’arte del’900 che il Grande vetro è intitolato “La sposa denudata dai suoi celibi”: un ingegnoso, curioso e intellettuale e anche complesso intreccio di meccanismi di cui non si riesce bene a vedere e capire il funzionamento e sopratutto l’utilità. In Joykix la macchina è non-celibe, non si sposa… è più vicina a quella battezzata come “macchina desiderante” dai filosofi Deleuze e Guattari. Riflessioni molto care all’artista legate alle molte domande che si è posto durante la produzione del lavoro. (Luca Scarabelli)
La macchina non-celibe
Una macchina è un assemblaggio di pezzi, di parti, di elementi eterogenei che entrano in relazioni di connessione-deconnessione, in una dimensione sempre contingente. Ci sono i guasti, le rotture, i malfunzionamenti. Le componenti, agendo le une sulle altre, si usurano, le superfici lisce si striano, quelle striate si lisciano. Non mancano mai gli imprevisti, i corto-circuiti, le connessioni impreviste, gli usi impropri. Si creano spazi interstiziali, nei gangli degli aggiustamenti funzionali, nel gioco prodotto dall’azione reciproca delle parti. E in essi si crea la possibilità di proliferazioni eterogenee, di individuazioni altre, tramite i potenziali offerti dalla sedimentazione di scarti e dal loro contatto con agenti imprevisti.
Diversa è la struttura, che ambisce a uno statuto di atemporalità, si stabilisce come una geometria stabile di posizioni reciproche, il movimento dell’una comporta un riaggiustamento delle altre, mantenendo inalterati i rapporti relazionali, le distanze, le prossimità, le velocità e le lentezze. Al di là dei mutamenti delle sue incarnazioni contingenti, la struttura si riproduce inalterata, all’insegna di un desiderio di eternità.
La macchina celibe riproduce sul piano della macchina il diagramma della struttura, si chiude nell’autosufficienza, in un’eternità abitata dalla riproduzione perenne di se stessa. Interrompe le connessioni con il fuori, nella forma della funzione, che subordinando la macchina a un fine esterno la consegna alla dimensione del meccanismo. Ma in tal modo si esclude la possibilità dell’innesto con altre macchine, che costituisce il tramite per l’attualizzazione di altri potenziali, per la ridefinizione, contingente, del suo procedere macchinico.
La macchina non celibe non è celibe ma non per questo ritorna allo stato del meccanismo. Essa, infatti, pur restando aperta ad altre connessioni e incontri recide la destinazione con la funzione. Ha una collocazione ctonia, sta sotto, come la struttura. Ma mentre quest’ultima mira a determinare il sopra, la macchina non celibe si limita a interferire, in maniera discreta, nei due sensi del termine: “discreto” come sinonimo di non invasivo; “discreto” come contrario di “continuo”. Resta tributaria di un “fuori”, si cui capta i flussi che seleziona, emettendo a sua volta flussi e campi energetici, ma in termini discontinui. Il sopra non è più lo stesso, con la sua presenza, ma non è nemmeno qualcos’altro, e i tempi e le modalità degli incontri, delle interferenze, delle coniugazioni restano aleatori, contingenti, rari. (Massimiliano Guareschi)