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Joykix e l’ «inconscio ottico» del nostro cibo

Il fantasma della libertà. (Cibo dentro) di Joykix è come gettare uno scandaglio visivo dentro il rapporto che intratteniamo oggi con il cibo, ovvero con uno dei simboli (e dei sintomi) più potenti del nostro mondo e di noi stessi. Guardare dentro il cibo significa guardare in noi stessi, guardarci dentro. Una delle parole che testimonia questa identità del vivere umano con il cibo è la parola convivium legata a cum-vivere, «vivere insieme»: l’atto di mangiare rinvia al mangiare insieme e ciò a sua volta rinvia alla natura sociale dell’azione e della vita nel suo complesso, alla dimensione essenzialmente politica della sua libertà.
La comunanza e la congenericità dei singoli uomini nel cibo ci viene ricordata in una delle variazioni del mito greco di Dioniso: il dio venne divorato dai Titani e per questa ragione essi furono ridotti in polvere da Zeus; da questa polvere nacquero gli uomini, ma ognuno porta con sé in corpo un frammento di Dioniso. La stessa immagine rivive nell’eucarestia cristiana, l’essere uomini in senso più profondo può accadere solo prendendo parte alla sacra mensa, in cui si torna a mangiare il corpo e il sangue di Cristo.
Nonostante la dimensione rituale del convivium con tutta la sua forza simbolica continui a resistere, il baricentro del nostro rapporto con il cibo si è spostato su aspetti nutrizionali e igienici: nel sistema del lavoro planetario, il cibo è merce, un combustibile per far muovere la macchina umana. Il cibo stesso si muove per miglia di chilometri, da un continente all’altro e per consentire questo spostamento dai luoghi di produzione agli scaffali viene congelato, imballato; così la vita di spinaci, carne, pesci, polli viene bloccata perché possa riprendere solo sul fondo delle pentole o di forni a microonde. Quali sono le geometrie, i colori, le superfici dell’alimentazione colta nella sua versione più igienicamente contemporanea? Come si presenta ai nostri occhi ciò che fa funzionare la macchina umana, un attimo prima che ritorni a ricordare in modo più o meno vago la vita da cui proviene?
Lo sguardo fotografico di Joykix penetra nei recessi di confezioni specchianti per cogliere un passaggio, un momento di sospensione di questa complessa filiera della produzione del cibo umano. Le immagini di Joykix colgono l’istante in cui il cibo è ancora dentro, dentro la busta, dentro forme algide e astratte che di lì a poco torneranno a somigliare a ciò da cui provengono, piselli, carote, gamberetti, polpette… L’occhio fotografico di Joykix coglie il punto celato, rimosso e nevralgico del processo di produzione del combustibile della macchina umana: a Joykix non interessano le sfavillanti immagini delle confezioni, né l’origine del cibo, ma quello stato intermedio che lo caratterizza incontrovertibilmente per le sue funzioni, attraverso le figure che ci appaiono affiorando alla superficie degli involucri. Le complesse storie di ricerca chimiche, fisiche, dietologiche, pubblicitarie ed economiche che stanno dietro a ogni singolo prodotto hanno forme e colori che Joykix ci rende visibili, prima che svaniscano inavvertite nell’irriflesso gesto quotidiano, come se nulla fosse successo, come se il rigido agglomerato ocra fossero solo patate, come se il blocco verdastro che si cela nell’involucro lucido dinanzi a me fossero davvero solo spinaci. La vita degli alimenti è stata forzatamente fermata, una volta che la confezione è stata aperta, la vita riprende, il combustibile torna a essere disponibile per far funzionare la macchina; ma qualcosa dentro il gelido sacchetto è successo. Prima che ci si dimentichino le storie che hanno portato fino a noi ciò che sta in quei luccicanti involucri protettivi, prima che quei prodotti tornino ad assomigliare più o meno vagamente alle piante o agli animali da cui derivano, Joykix punta lo sguardo a quelle sculture misteriose, anonime e raggelanti che costituiscono l’anello di congiunzione tra la vita di quelle piante e di quegli animali e le nostre vite. Lo sguardo di Joykix mostra quanto sia ancora vero ciò che diceva Walter Benjamin a proposito della fotografia, ovvero che può portare alla visibilità «l’inconscio ottico» dell’esistenza umana, ciò che tende a passare inosservato e che pure caratterizza in modo determinante la nostra vita.
Le fotografie di Joykix ci spingono con gli occhi e con i sensi a una distanza ravvicinata e inaspettata fino a farci sentire l’assenza di odore della vita bloccata del cibo, un’immagine in cui riconosciamo la nostra vita inceppata, il congelamento del nostro convivium, della nostra libertà e, allo stesso tempo, il luogo e le forme da cui ripartire.

Maurizio Guerri